L’esempio di Ugo La Malfa/Come costruire un partito moderno in un Paese che si trasforma

Perché il progetto liberaldemocratico resta valido

di Antonio Suraci*

Il difficile momento che attraversiamo non deve, anzi non può, portare a considerare carta straccia quanto sin qui elaborato. Il progetto liberaldemocratico, per il quale da più parti si intona il De Profundis, non è legato alle vicende elettorali, figlie di una politica condizionata dall’attuale legge elettorale e da un bipolarismo le cui origini dovrebbero essere note a tutti, ma al tempo e ad una formazione politica adeguata. Allora chiedo anch’io di partecipare, da subito, all’orchestra che intonerà il De Profundis, ma solo a condizione che vi sia la consapevolezza del perché si ritiene necessario che l’orchestra suoni le note tratte da quello spartito – totalmente alternativo ai nostri gloriosi canti.

Traggo l’impressione, da quello che leggo, che molti repubblicani, nel tempo, si siano affidati, più che a se stessi e al proprio lavoro, ai diversi leader che si sono succeduti nel corso degli anni e, spesso, a leader non repubblicani. Mi sono domandato come un partito storico quale il Pri abbia potuto dissipare un patrimonio che lo vedeva presente su tutto il territorio nazionale. Partendo da questa domanda, mi sono tornate in mente le diverse proiezioni di morte che hanno condizionato le dirigenze a partire dalla famosa Alleanza democratica, per poi passare ad altre temporanee avventure, per finire, agli inizi degli anni duemila, alla divisione tra buoni (a sinistra) e cattivi (a destra). In sostanza, tra chi annunciava il ‘sol dell’avvenire’ nel Pds e chi, secondo questi ultimi, la rinascita di un conservatorismo liberista in Forza Italia. Tra questi ricordi ha avuto il sopravvento la teoria della contaminazione. Teoria in base alla quale i repubblicani avrebbero contaminato con le proprie idee gli schieramenti politici in cui sarebbero andati a collocarsi contribuendo alla creazione di un grande movimento laico e democratico nell’interesse dell’Italia. Oggi, senza prova di smentita, mi sembra di poter affermare più nell’interesse proprio che dell’Italia. Nessun ‘contaminatore’ ha raggiunto l’obiettivo dichiarato, se non quello di assottigliare le fila repubblicane condannando il partito alla sopravvivenza. Perché, mi sono sempre domandato, non sono rimasti all’interno del nostro contenitore impegnandosi a rivoluzionare la vita civile dell’Italia? Perché ancora oggi, no-nostante le migliori lusinghe ricevute da parte nostra, in molti cercano di distruggere la storia, la nostra storia e non solo la nostra? Non vedo differenze comportamentali tra chi allora lavorava per un’Alleanza democratica e chi oggi pensa, sovrapponendosi a noi, di proporsi quale rinnovatore nel solco storico laico-repubblicano. Da entrambe le esperienze è possibile registrare solo un dato matematico, per chi è amante dei numeri, caratterizzato dal segno meno. Mai nella storia del partito repubblicano il ‘fuoriuscitismo’ è stato tanto deleterio e mai, neanche ai tempi di Pacciardi, i repubblicani, pur simpatizzando per un uomo a cui va tutt’oggi il nostro affetto e ricordo, hanno abbandonato così numerosi la casa dell’Edera. La conclusione della riflessione a cui sono giunto è che non ci sono più i repubblicani, quelli che convintamente ingaggiavano battaglie sociali e civili nell’interesse del Paese, orgogliosi di far parte di una storia, pur da rinnovare sul piano politico e strumentale. Anche tra noi, molti sono rimasti contaminati dal virus mass-mediologico, dalla cosiddetta crisi delle ideologie e dal qualunquismo a-progettuale che virulentemente ha soppiantato la forma partito. Molti repubblicani hanno sposato quell’individualismo figlio di una cultura a sua volta figlia di quella società del benessere a-culturale che ha permeato l’intera società nell’ultimo ventennio. Nonostante ciò il Partito, pur minoritario, ancora esiste e non è intenzione di quei pochi (o molti, a seconda di chi osserva) militanti ammainare la bandiera, nonostante, non molto tempo fa, qualcuno riteneva fosse giunta la nostra ultima ora.

Non mi soffermo sulle cause morali dell’attuale crisi, anche se molto si è scritto e parlato, e per il superamento delle quali il Partito ha più volte indicato la strada, compresa quella della riforma dei partiti e del loro finanziamento; mi soffermo piuttosto sulla crisi ideologica e sul derivato qualunquismo a-progettuale.

E’ bene affermare, da subito, che la crisi delle ideologie non ci appartiene. Noi non siamo un partito ideologico, siamo figli di quella vasta cultura (politica – sociale – economica – letteraria) che ha attraversato il XIX e il XX secolo. Rappresentiamo il fil rouge della storia nazionale al quale può risalire anche la gran parte dei movimenti sorti nei due ultimi secoli (il pensiero radicale, il moderno liberalismo, il movimento laico e democratico, il sindacalismo, una certa visione di socialismo, una visione laica del cristianesimo e lo stesso fascismo). Il nostro partito, che definiamo movimento, non è statico. Abbiamo attraversato il tempo, pur con le contraddizioni figlie dell’agire degli uomini, perché appartiene alla nostra scuola il metodo di quell’analisi che si trasforma in sintesi e proposta politica grazie agli strumenti culturali elaborati ed ereditati. Attrezzi di cui possiamo solo vantarci e che ci hanno sempre tutelato dalle sponde qualunquiste - per molti affascinanti nei momenti di crisi - dannose per l’intera società agli occhi della storia. Non vi sono modelli sociali dell’ultima ora, solo modelli figli di una visione complessa della realtà in cui la solidarietà, la sussidiarietà e la responsabilità rappresentano le uniche illuminanti traiettorie da seguire. Non esistono, se non dannosi, modelli economici di risanamento o sviluppo che non seguano tali traiettorie, né forme di Stato che non sappiano esaltare i diritti ponendosi a stimolo e ad attento guardiano delle regole, grazie alle quali ciascuno sia libero di esprimere le proprie capacità umane ed imprenditoriali. Non si modifica, con una percentuale piuttosto che un’altra, il deficit dello Stato, attuale forma obsoleta, senza affermare un modello di sviluppo che trovi in una riformulazione istituzionale nuove ed equilibrate regole democratiche funzionali alla crescita. Non è possibile ridisegnare uno Stato moderno senza prendere in considerazione le sollecitazioni sovranazionali a cui si appartiene offrendo a queste il contributo, non solo ideale, che l’unione tra i popoli richiede.

Non sono le posizioni a-culturali o a-progettuali che possono offrire quelle garanzie di stabilità di cui il Paese necessita, perché troppo spesso ispirate dalle tribune mass-mediologiche, vere artefici del come e del fare, da cui germogliano le aggregazioni fai-da-te, populiste e aggressive.

A noi appartiene altra storia, altra sensibilità politica. A noi, figli di una tradizione politica e culturale, appartiene altro metodo, innovato e rinnovato sempre nel tempo.

"Solo muovendo dalla concreta analisi della realtà, ricercando i nuovi compiti, i nuovi contenuti di un partito moderno, armonizzando tra di loro i diversi elementi del sistema per operarne consapevolmente la trasformazione, solo sforzandosi di trovare nella società stessa le ragioni e gli strumenti dell’azione politica, è possibile adeguare un partito – nella sua impostazione e nelle scelte immediate – al tipo di società che si è affermata in Italia durante questi ultimi anni e alle sue esigenze di ulteriore trasformazione" (1962, Ugo La Malfa)

La realtà odierna ci impone difficili e non semplici scelte: sarebbe un grave errore non comprenderne le motivazioni, disaffezionandosi o vituperando coloro che devono trovare le giuste soluzioni, avendo, tutti, in animo, solo l’interesse del Paese. Quest’ultimo, per noi repubblicani, si trasfonde nella nostra stessa esistenza, per il cui arricchimento abbiamo scelto, liberamente, di militare nel movimento repubblicano e tale appartenenza impone a noi tutti dei doveri più che dei diritti e nostro primo dovere è quello di rafforzare il partito nell’interesse della democrazia italiana.

*Capo della segreteria politica Pri